mercoledì 16 dicembre 2009

Gli Angeli Appesi

Era quasi Natale e come ogni anno tutti ritornavamo in paese. Come sempre il comune aveva disposto le solite luminarie sospese fra una casa e l’altra, le scritte di ogni dicembre: Buon Natale, Auguri, Pace e felicità. Le solite cazzate e la stella luminosa appesa sulla porta della Chiesa. Il mio paese stava sprofondando nella noia e nella violenza: quattro ragazzi avevano incendiato un coetaneo e lo avevano lasciato sulla pista di pattinaggio del centro sportivo a correre in cerchio come un gatto che vuole riprendersi la coda. Alla fine era finito all’ospedale di Cetraro perché in quelli più vicini non c’era posto. Con mio cugino in autobus, mentre tornavamo da Roma avevamo considerato che almeno uno avrebbe passato il Natale al mare. L’ospedale di Cetraro si affacciava sul mare, sembrava una clinica da soap opera.
La sera del 22 Dicembre eravamo tutti al bar: io, Gianluigi, pieno di coca per far passare la serata più velocemente, e mio cugino. Bevevamo birra franziskaner in offerta speciale, il barista alzava le mani, le metteva ad altoparlante davanti alla bocca e gridava: Ecco le freschissime, chi ha chiesto le freschissime ? Un imbecille patetico. Come sempre pioveva fitto ed io e gli altri andammo al distributore di sigarette, mentre attraversavamo la piazza deserta, se si escludevano due o tre macchine con relativi conducenti ferme e con i fari spenti. Non parlavano fra di loro. Li chiamavamo gli asociali Alzai gli occhi al cielo e tirai la manica del giubbotto di mio cugino, dall’alto stava scendendo qualcosa, inizialmente ci erano sembrati palloni aerostatici, poi manichini. Alla fine lo capimmo erano Angeli. Il Signore doveva essere certo che il nostro paese meritasse una strigliata ed aveva deciso che bisognava mandare proprio le milizie celesti a fare un po’ di ordine. Mentre scendevano le vesti bianche si impigliarono nei fili delle luminarie e gli Angeli cominciarono a friggere appesi ai fili elettrici. Mai giocare con l’elettricità se hai le mani bagnate. I nostri genitori lo dicevano da sempre. Quei corpi perfetti (sembravano tutti calciatori particolarmente attraenti) erano leggerissimi, i fili quasi non si piegavano, sembrava avessero la consistenza dello zucchero a velo, ed intanto bruciavano, non velocemente, era piuttosto un abbrustolire con calma, come quando al fuoco della madonna a Settembre facevamo i peperoni alla brace. Gridavano ma dalla loro voce usciva come un verso fatto da un sordomuto. Il mio paese non si meritava degli Angeli.
Le vacanze volarono via e la gente si abituò subito a quei corpi appesi e ad un certo punto li ignorò deliberatamente. Ogni tanto cadeva qualche piuma, oppure un randagio che stava in piazza da sempre si metteva ad abbaiare spaventato quando il vento li scuoteva. Nessuno dei miei amici si era fermato a spendere qualche secondo a guardarli, io avevo provato a spingere lo sguardo fra le vesti, ma era tutto di un biancore accecante, come le coroncine di un rosario fluorescente. Non si vedeva nulla che potesse sembrare un organo sessuale.
Dopo l’epifania tutti i ragazzi e le ragazze che erano tornati da Roma, Milano o chissà da dove, se ne salivano. In piazza file di macchine accompagnavano studenti all’autobus con i due autisti ed il bigliettaio che si grattavano i coglioni e sbadigliavano come rincoglioniti. Il bus per Roma partiva alle cinque ed un quarto. A Gennaio a quell’ora è notte ed intanto che caricavano i bagagli fumavano sigarette e bestemmiavano. Nemmeno loro guardarono gli Angeli.
Il Dodici Gennaio vennero gli operai dell’azienda che affittava le luminarie ai comuni della zona. Era una ditta di Corigliano e il tipo (capo operaio e capo azienda in un colpo solo) lo chiamavamo l’africano perché era scuro di pelle. Ma non era Africano. Quando vide gli Angeli appesi si sporse e gridò agli altri operai: A vistu, ka ci su iuti l’acialli, e poi si mise a ridere. La pioggia e la combustione lenta avevano trasformato gli Angeli in dei polli allo spiedo giganteschi. Quello che rimaneva delle ali doveva aver portato l’”Africano” a credere che degli uccelli si fossero impigliati nei fili. Chi paiusu i merda, mancu l’ati cacciati, ma un l’ati visti ca s’eranu vrusciati? Disse così rivolto ai vecchi infreddoliti che si voltarono dall’altra parte e cominciò a scuotere i fili fino a farli cadere per terra. Così com’era salito sulla scala scese e, con sorpresa, constatando come quei corpi fossero leggeri, li lanciò nel cassone del camion dove mettevano i pezzi delle luminarie. Chissi i jettamu nua, ma si ni vena a sars vi denunciu a tuttu u paisu. L’Africano salì sul camion assieme ai suoi operai e partì verso un’altra zona del paese dove ancora non aveva smantellato le luci. Le li degli Angeli sbattevano fra loro a causa delle buche delle strade. Fu l’ultima volta che vidi gli Angeli.

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